domenica 19 aprile 2015

Foto a Resiutta 1930.

Era l'anno 1930,
in questa foto di gruppo ci sei anche tu.
Facendo due conti comprendo che avevi quasi quattro anni, (sei nato il 12 dicembre 1926).
Non ti ho mai visto così piccino-piccino...
si, mi ricordo dei tuoi ricordi...
C'è ne parlavi spesso con affetto, con ironia, ma non con nostalgia.
Non ti nascondo caro papà,
solamente ora,
ora che tengo tra le mani questa immagine ( per la prima volta ti vedo bambino),
essa, mi traduce l'emozione di tanti aneddoti, di storie di quei giorni.
Di quando il vento di guerra  non voleva cessare di soffiare e,
la bandiera,
nel gelido cielo immobile restava.
Storie di vite in bianco e nero. Ora, comprendo meglio!
Siete tutti così indifesi,  puri e semplici, saturi di povertà e di dignità.
Eppure, avete saputo essere Vincitori della vostra Vita.
La forza della tenacia, 
l'umiltà  della fede,
l'operosità della buona volontà vi hanno portato in alto.
In alto, ora più in Alto!
Più su del sole e delle stelle,
oltre le coltri dell'umanità.
La voce dei vostri pensieri 
in silenzio sussurra nel cuore,
spargendo petali che profumano d'amore.
A Te, a tutti Voi:
Grazie per i tanti sorrisi,
Grazie per ogni buona parola,
Grazie per la genuina allegria
questo è il respiro  della nostra gente: " l'aria buona " di Resiutta!

Brunetta  Sacchet, 19 aprile 2015.

Mio padre Armando  è il quarto bambino della prima  fila ( seduti )  partendo da sinistra.

mercoledì 8 aprile 2015

Aldo

 Siam punti e linee;
stelle nel buio e costellazioni...
Ma cosa sono le linee,
se non una sequenza ordinata di punti?
e le costellazioni,
se non un agglomerato di puntiformi stelle
radunate dalla fantasia
a rappresentar qualcosa?

Eppure tu torni.
Dicono che ti sei spento,
che più non sei nè punto, nè linea;
nè stella, nè costellazione...

Gli uomini passano,
e crolla la loro civiltà e la loro cultura.
Figure la fantasia più non crea,
ma la Natura ancor sparge sulla terra fragilissimi punti
e “v nebu luna plava”.

Nel vino che sorseggio, tu torni:
sapore di uve acerbe,
di terra umida e di pendii maledettamente scoscesi.
E' il tuo “Tintoria”
... te lo ricordi?

Come trattenerti or che sei ancor più fuggitivo
e la memoria si corrompe?
Non avverrà che anche tu sarai dimenticato
come gli altri amici: Narciso e Amabile,
Nonna Emma (La figlia delle Valli),
Elisa ...?

Eppure tu torni.
Dicono che ti sei spento,
che più non sei nè punto, nè linea;
nè stella, nè costellazione...

Come bevendo il tuo vino indagavi te stesso,
or so che offrendolo saggiavi l'ospite...
Con sguardo furtivo aspettavi il giudizio
che avrebbe mostrato a te chi ti stava di fronte,
...se e quanto fosse stato idoneo.

Anch'io, più volte, fui così da te pesato.

Eppure tu, che non puoi tornare,
torni

e spargi fragilissimi fiori.


--------------------------------------------------------------------------------------


Aldo Klodič: L'equilibrio sulla besieda

Tra il filosofo e il poeta - s'è detto - vi è una profonda affinità e, al tempo stesso, una immensa distanza. Entrambi abitano cime altissime di montagne che si toccano però solo alle basse estremità di appoggio, mentre le vette si allontanano sempre più, per chi intraprende la scalata di una delle due montagne. Ad Aldo non interessava la filosofia: egli infatti è salito sul monte dei poeti. Ciò nonostante, una riflessione dal sapore filosofico non credo sia inadeguata per tentare di coglire ciò che egli è stato per sè, anzitutto, e poi per la cultura delle Valli. Vorrei esprimere qualcosa di ciò che Aldo era per sè -ripeto- perchè la tentazione diffusa credo sia quella di appropriarsi illecitamente l'amicizia di una così bella persona, proprio ora che il suo essere è divenuto immobile e indifeso. Lungi da me questa intenzione e da chiunque...
Chi lo ha conosciuto sa che Aldo non parlava molto, era piuttosto riservato. I suoi discorsi nelle conversazioni erano sempre brevi ed essenziali: quasi avesse fretta di cedere la parola, di liberarsi in fretta della besieda... Pareva infastidirlo, imbarazzarlo, lasciava la parola volentieri all'altro che a sua volta si sentiva subito impegnato a riprenderla, come fosse caduta per terra e la si dovesse pur tirar su. Qualcuno si doveva preoccupare di sostenere il discorso perchè Aldo non si muoveva, non sembrava intenzionato a integrarlo o a migliorarlo o a ridire, in altro modo, il già sinteticamente detto. Fosse per lui, la besieda detta era stata sufficiente, aveva gia espresso ciò per cui era stata emessa, ora poteva tornare al suo luogo natìo: il silenzio. Altre volte, quand'era il caso di parlare chiaro e di dire con coraggio ciò che andava detto, Aldo non retrocedeva e , se era sicuro, procedeva intrepido e tuonante. Il suo “non dire troppo” indubbiamente traeva origine dal suo carattere - non lo nego - ma ancor più era una sorta di preoccupazione di “dire bene”. Odiava la chiacchiera vana e superficiale; le parole senza sostanza. Ricercava invece quei condensati di saggezza che la tradizione ha conservato in proverbi ed espressioni singolari e che il suo amato dialetto beneciano tuttora contiene.
Più in là ancora, a volte mi è sembrato credere nella sublime musica del silenzio, e mi è parso diffidare della stessa besieda. Lo penso mentre cammina silente nei boschi solitari delle Valli in cerca di funghi. Lo ammiro quando ostinatamente si arrampica a falciare a mano un prato scosceso che purtroppo ora, anche questo, verra abbandonato. Aveva un animo di poeta e giustamente esitava prima di emettere suono, prima di infrangere il silenzio. Era come stesse in equilibrio, leggero sopra la fragilità della parola: consapevole che quel flatus vocis, seppur inerme, ha il potere di creare o di distruggere il mondo. Ma ecco, è proprio questo modo di porsi nel linguaggio, questo anomalo silenziare tra gli umani che ha “parlato”, ha “detto più forte qualcosa”, ha proferito una parola più intensa e feconda. Un paradossale fenomeno qui si manifesta. Il miglior linguaggio prende le mosse scegliendo accuratamente, tra le miriadi di parole, poche, ma le più belle. Ed è connettendole ancora con spazi di silenzio che nasce per magia un mondo variopinto. Così, a modo suo, Aldo ha dato vita a un dire autentico, a un “bel dire”, originale, rivelatore e creatore al tempo stesso di un bel modo essere.
Eccome se ha tenuto in vita la besieda! Col suo stile si è battuto perchè la parola delle tradizioni non morisse; ha fatto cantare cori antichi e nuovi; ha lottato contro l'oblio recuperando memoria, contro la pigrizia di chi si lascia abbagliare da frivole lusinghe. Ha consegnato alle nuove generazioni l'orgoglio di appartenere a un territorio e a una cultura preziosa anche se minoritaria e dimenticata. Ha infuso coraggio là dove c'è vergogna di parlare la propria lingua. Il suo esitante dire unito al suo prodigioso operare (per almeno una cinquantina d'anni), ha emesso un suono di vita, intriso di tenerezza e di autentico amore per il nostro territorio. Il suo strano e volontario equilibrio sulla besieda ha mostrato anche che non si ama a parole. Infatti la parola si presta a qualsiasi gioco; ha in sè l'insidia dell'ambiguità; è il prodigioso strumento della falsità e dell'imbroglio dell'altro. Il silenzio invece non mente e le opere ancor meno.

Coloro a cui oggi Aldo manca si domandano: Chi potrà misurare il valore di un amico come lui tra gli “amici” che abbiamo? chi potrà saggiare la finezza della sua sensibilità? ...la generosità del suo cuore o l'altezza della sua poesia? chi saprà valutare l'intensità del suo amore tra coloro che dicono di “amare”? Ci vorrebbe qualcuno che sia molto saggio e dallo sguardo puro. 
                                                                M.M.

venerdì 3 aprile 2015

Cambiamento Costante.





L'unica costante è il cambiamento,
intorno e dentro ciascuno di noi.
               (Anonimo)